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La natura di noi esseri umani è un qualcosa di tanto affascinante quanto ignoto. Esiste veramente una singola, fissata, ed ideale natura in ciò che siamo? Siamo tante cose, e tra queste siamo anche forze in movimento, energie racchiuse in corpi, emozioni e significati che si continuano a trasformare nel tempo, giorno dopo giorno, secolo dopo secolo. È possibile descrivere tutto ciò? È possibile descrivere la natura umana? E, in caso lo fosse, quale linguaggio potrebbe essere il più adatto a descrivere un qualcosa di così grande e vasto?

Sono sempre stato affascinato dai film di fantascienza. Tra le principali tematiche di questo genere di film una delle più importanti è la tematica dell'incontro dell'altro. L'altro, in questo contesto, sta a significare una o più entità aliene. Un qualcosa che l'umanità non è in grado di capire, in quanto c'è troppa diversità, troppo distanza tra l'umano e il non umano. Molto spesso il vero ruolo dell'altro è quello di agire da specchio. Intenzionati a capire l'entità extra-terrestre scoperta, l'umanità si riflette negli "occhi" – letterali o metaforici – dell'altro, dell'alieno, di ciò che è diverso, finendo inevitabilmente per osservare, non più l'alieno, ma l'umanità stessa, la parte più oscura e ignota degli esseri umani.

L'altro giorno ho rivisto un film di fantascienza che avevo già visto e che mi era piaciuto tanto. Il film si chiama Arrival è stato girato da Denis Villeneuve, che si è ispirato al racconto breve Story of Your Life scritto da Ted Chiang e successivamente adattato per il cinema da Eric Heisserer.

Anche questa volta il film mi è piaciuto molto. Era da anni che non lo vedevo, e per quanto mi ricordavo ancora i punti principali della storia, mi ero un dimenticato dell'impatto emotivo che il film riesce ad avere. Questo impatto è in gran parte merito della musica, e in particolare al pezzo On the Nature of Daylight, composto da Max Richter, una musica potente e profondamente melanconica, che riesce a catturare una quantità enorme di sensazioni ed emozioni.

L'intera trama del film si basa sul cercare di capire il linguaggio di queste entità aliene che un giorno appaiono in varie posizioni sulla terra. Come si fa a comunicare con una entità, anch'essa intelligente e consapevole, ma con una intelligenza e consapevolezza che si manifestano in dei modi completamente diversi?

Gli esseri umani sono intenzionati a chiedere loro:

Perché siete qui?
Cosa volete da noi?

Per avere anche solo una speranza di farsi capire e di capire l'eventuale risposta degli alieni però c'è prima bisogno di insegnare a loro la nostra lingua, e, viceversa, di imparare noi la loro lingua. Sotto questo punto di vista, la fantascienza di Arrival è molto bella proprio perché pone questa grande enfasi sul linguaggio e sulla difficoltà di comunicare. Non c'è bisogno di grandi battaglie, perché la battaglia più importante, quella che affrontiamo svariate volte ogni giorno è proprio quel tentativo di sentire e di capire, noi stessi, tramite l'altro, e l'altro, tramite noi stessi.

I protagonisti principali del film sono due: una linguista, Louise, e un fisico, Ian Donnelly. Personalmente ho adorato questa particolare combinazione di conoscenza, e forse posso capire anche da dove deriva: lo scrittore Ted Chiang, ha studiato informatica all'università. Studiando informatica si impara sia la potenza dei linguaggi della matematica, tra cui troviamo anche il linguaggio della fisica, e sia la potenza dei linguaggi di programmazione. Insomma, la conoscenza informatica, fin dalla sua infanzia, è sempre stata collegata alle potenzialità dei linguaggi umani e di ciò che possiamo esprimere in forma simbolica.

Il grande problema è questo: da dove inizia la comprensione? Perché, ad esempio, noi esseri umani siamo in grado di imparare una nuova lingua? Se ci pensiamo, da piccoli, subito dopo essere nati, abbiamo una abilità espressiva molto limitata, ma fin da subito, col passare del tempo, acquisiamo sempre più linguaggi, sempre più astratti e simbolici, fino a quando impariamo a scrivere ed a leggere la nostra lingua madre, come l'italiano, l'inglese o il vietnamita.

Io credo che siamo in grado di imparare nuovi linguaggi perché anche all'inizio, anche da piccoli, anche quando abbiamo una abilità di espressione molto limitata, abbiamo comunque una serie di linguaggi che ci accomunano con i nostri genitori e in generale con le persone che prendono cura di noi: i linguaggi del corpo, delle sensazioni, e delle emozioni. Questo primo nucleo di linguaggi pone le fondamenta ai linguaggi più simbolici ed astratti del futuro.

È grande la tristezza nel constatare che certe volte, pur di crescere, pur di sopravvivere, siamo costretti a mettere da parte i linguaggi del corpo per concentrarci su linguaggi più astratti e simbolici. Chi è veramente il saggio: la persona che conosce e combina tra loro le parole più sublimi senza provare nulla, o colui che non sa né scrivere e né leggere, ma è in grado di percepire sul proprio corpo anche la più leggera delle sensazioni? Forse nessuno dei due. Forse essere saggi significa sforzarsi di trovare le parole giuste, sapendo che le parole sono solo mezzi, strumenti utilizzati per connettere sensazioni a sensazioni, emozioni a emozioni, umanità ad altra umanità.

La difficoltà nel capire il linguaggio scritto degli alieni, chiamati successivamente eptapodi per il fatto che hanno sette arti simili a delle gambe o delle mani che utilizzano per muoversi, sta nel fatto che il linguaggio degli eptapodi segue una scrittura logografica, ovvero una scrittura in cui l'elemento più primitivo del linguaggio, chiamato logogramma, rappresenta una intera parola con un proprio significato. In altre parole, piuttosto che avere parole formate da più lettere, il concetto di lettera è rimosso, e si hanno segni che, anche presi singolarmente, hanno un proprio significato completo. Nel caso degli eptapodi, i logogrammi del loro linguaggio seguono delle forme circolari molto suggestive agli occhi umani. Il cerchio è un simbolo molto significativo per il film.

Verso la fine della trama, Louise, la linguista incaricata di capire il linguaggio degli eptapodi per comunicare con loro, riesce finalmente nel suo intento. Nel processo di imparare la loro lingua, comincia a pensare in modo diverso, come penserebbe un eptapodo, e questo ha una profonda conseguenza: diventa in grado di vedere i propri ricordi del futuro esattamente come se fossero ricordi del passato, e così il passato si mischia nel futuro, e il futuro nel passato.

L'idea di base dietro a questo cambiamento è la seguente: gli eptapodi prima di scrivere un logogramma devono sapere sia il suo inizio che la sua fine. La forma circolare sta proprio a significare il fatto che nel momento in cui iniziano a scrivere, sanno già come andrà a finire, e dunque tutto viene scritto istantaneamente. La prima parola vincola l'ultima, e l'ultima parola vincola la prima. Questo modo di scrivere riflette il modo in cui pensano gli eptapodi: piuttosto che pensare in modo sequenziale, in cui gli eventi avvengono uno dopo l'altro, delineati dalla corrente del tempo, gli eptapodi non vivono vincolati dal tempo, ma sono in grado di muoversi, nel pensiero, sia nel passato che nel futuro. Louise, imparando la loro lingua, impara anche, senza volerlo, il loro modo di pensare.

Nel film si menziona una ipotesi nel mondo della linguistica nota con il nome di Ipotesi di Sapir-Whorf, che, approssimativamente (non sono un linguista), afferma che la lingua che utilizziamo per esprimerci determina il modo in cui pensiamo a noi stessi ed al mondo che ci circonda.

L'idea alla base di Arrival è l'idea di un universo potenzialmente deterministico, in cui tutto è già deciso nel momento in cui inizia. Un universo in cui l'inizio porta alla fine, e la fine all'inizio, ed inizio e fine sono in realtà la stessa cosa. In questo tipo di universo, non c'è una vera e propria direzione degli eventi. Non c'è una sola freccia che va da sinistra verso destra, dal passato al futuro. C'è, piuttosto, un cerchio intero, e noi, la nostra vita, è l'interità del cerchio. Un qualcosa che ricorda molto la ciclicità del famoso ouroboros.

Iniziando a vedere i ricordi del futuro, Louise diventa consapevole della forma della sua intera vita. In particolare diventa consapevole che farà una figlia assieme ad Ian, il fisico con cui ha lavorato per mesi e mesi nel cercare di capire il linguaggio degli eptapodi. Diventa anche consapevole che la sua futura figlia soffrirà di una malattia genetica molto rara, che terminerà con una sua morte prematura.

Rivedendo il film, questo è il punto che mi ha fatto più emozionare. Quando Louise capisce ciò che le sta per accadere, e, comunque, sceglie di viverlo. Non so bene perché ha fatto questa scelta, so solo che vedere una persona accettare la propria vita in questo modo, sia nella sofferenza, che nella gioia e felicità, mi ha trasmesso qualcosa di profondo che faccio difficoltà a descrivere. Ciò che più mi ha emozionato è stato proprio questo movimento, questa profonda voglia di vivere, di condividere, e di amare. Non è stato un sacrificio, il gesto di Louise. E non lo considero nemmeno un atto di egoismo nei confronti della sua figlia, per quanto la sofferenza provata da tutti deve essere stata enorme, talmente grande che Ian, quando viene a conoscenza del fatto che Louise sapeva tutto fin da subito, la lascia, dicendole che aveva fatto la scelta sbagliata.

Il gesto di Louise è semplicemente il gesto di colei che ha deciso di non lottare contro la vita, ma di seguire il flusso degli eventi, di prendere il proprio posto in questa esperienza, di accettare che noi siamo piccoli, e che nelle nostre limitate opzioni e limitate scelte, possiamo fare molto: possiamo seguire il nostro destino, accettando ciò che la vita ci impone di essere.

Forse non possiamo scegliere chi essere
Forse possiamo solo scegliere di accettare chi siamo

Non credo che ci sia un singolo linguaggio in grado di descrivere l'intera umanità. Credo piuttosto che l'umanità è formata dall'unione delle innumerevoli lingue che noi tutti parliamo stando assieme, amandoci e ferendoci. E nessuno di noi, nello specifico, è l'umanità. Noi siamo solo parti dell'umanità. Piccoli frammenti di un qualcosa di più grande. Ed essendo parti, ciascuno di noi ha il compito di capire, tra i tanti possibili linguaggi dell'umanità, quali sono quelli che catturano meglio la nostra essenza.

La cosa più importante non è essere felici, né essere tristi, né essere gioiosi, né pieni di speranza, né privi di speranza. La cosa più importante è vivere con ogni parte del nostro essere. La cosa più importante è lasciarsi andare per essere trasportati dalla nostra essenza, quella più intima e profonda, quella che dobbiamo amare e difendere ogni giorno come se fosse il bambino più piccolo e indifeso che sia mai esistito su questa terra, in questo universo.