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#DONE Sulla Delusione

La delusione è una risposta umana assai complessa ed affascinante da analizzare. Tra i vari punti di vista che possiamo assumere, consideriamo i seguenti due:

  • quando è qualcun altro che ci delude
  • quando siamo noi che deludiamo qualcun altro

Entrambi questi scenari possono essere difficili da affrontare, eppure, entrambi gli scenari nascondono preziose opportunità.

#Sul rimanere delusi

Tutti noi, prima o poi, saremo delusi, da qualcosa o qualcuno.

La differenza, ovviamente, si trova nella profondità ed intensità di queste delusioni. Perché le delusioni minori, quelle più piccole, per definizione, sono facilmente accettabili.

Cosa succede invece quando riceviamo una delusione grande e significativa?

La potenziale qualità della nostra vita dipende molto dal modo in cui reagiamo alle delusioni significative. In altre parole, un aspetto determinante della traiettoria della nostra vita è proprio questo: la strategia che utilizziamo di fronte ad una profonda delusione.

Voglio portare un esempio concreto, ripreso dalla mia vita, per condividere un approccio che trovo molto utile nell'affrontare le delusioni.

Per lavoro mi capita ogni tanto di fare trasferte. Un giorno ero ritornato da una trasferita da Milano. Scendo dalla stazione del treno a Roma, mi avvicino alla stazione della metro per tornare a casa, e mi accorgo che era chiusa, causa sciopero. Erano le nove di sera ed ero molto stanco a seguito di una intensa giornata di lavoro e dal viaggio in treno.

La mia prima reazione è stata automatica: rabbia, tanta rabbia. Mi sono incazzato con la città in cui vivo, Roma, che fatica a garantire una qualità accettabile nel servizio di trasporto pubblico. In quel momento però è stata proprio la stanchezza a salvarmi. Non avevo abbastanza energie per incazzarmi e capie come tornare a casa nel modo più veloce possibile. Ho dunque focalizzato tutte le energie rimanenti sul secondo obiettivo, e mi sono quasi dimenticato del primo. Mi sono concentrato nel capire lo stato della realtà, e ho deciso di prostrarmi ad essa. Di abbandonare quella piccola parte della mia volontà. Di tornare a casa, a piedi, perché anche l'incertezza di un eventuale autobus, nello sciopero di Roma, era troppa da accettare. Di accettare quei quaranta minuti a piedi, perché erano certi, e mi avrebbero garantito il ritorno a casa. E una volta tornato a casa, ero già sereno, perché avevo sfruttato le energie durante il percorso.

Sia chiaro, questa, nel grande schema delle cose, non è poi una delusione così grande. Eppure, in quel momento, le mie aspettative volevano che la metro fosse aperta. La metro doveva essere aperta. Ma non lo era. E dunque, ero deluso, e la prima reazione è stata la rabbia.

Porto questo esempio perché ho notato che anche in altre situazioni, situazioni assai più gravi e assai più profonde, lo stesso approccio funziona. Il problema di questi momenti, di quando ci sentiamo delusi, è la nostra volontà. È quella parte di noi che, con le migliori intenzioni, ci vuole proteggere, ma fatica ad accettare che la realtà vuole andare in un'altra direzione. In questi momenti, la realtà diventa la sorgente della più grande sofferenza. E capita di incazzarsi. Contro la realtà, o contro elementi specifici della realtà (ad esempio gli scioperi a Roma).

L'incazzatura di questi momenti non è da evitare, anzi, gioca un ruolo fondamentale, perché ci offre le energie per affrontare il cambiamento imposto dalla vita. Succede molto spesso però di rimanere bloccati nella rabbia. Di avere tutte queste energie, ma di non saperle sfruttare. Perché per quanto la rabbia sia uno stato emotivo molto energetico, tende ad essere anche uno stato mentale in cui perdiamo l'abilità di creare strategie utili per risolvere problemi concreti. Trovo molto più funzionale invece il saper trasformare la rabbia in qualcosa di altro. E sì, possiamo continuare ad essere incazzati, ma l'importante è non fermarsi e utilizzare fin da subito quelle energie in modo attivo per risolvere il problema che le ha generate.

Il problema ovviamente è che questa trasformazione di energie non è affatto banale da fare, e io stesso non capisco perché certe volte succede e altre no. Ho conosciuto nella mia vita alcune persone incapaci di fare questo passo. Incapaci di capire che le delusioni sono la materia stessa della vita. Incapaci di trasformare quelle energie in qualcosa di altro. In parte mi dispiace, ma sono anche grato a loro, perché è stato proprio nell'osservare queste cose, sia negli altri che in me stesso, che ho potuto capire che che l'essere umano è tanto forte quanto fragile, e dunque la delusione è sempre lì, accanto a noi, sempre pronta ad uscire fuori.

Faccio un altro esempio per concludere questa prima parte.

Crescendo, sono stato deluso dal sistema dell'istruzione italiana. Inizialmente non avevo neanche capito quanto in profondità ero rimasto deluso dal modo in cui si insegano le varie materie. È solo relativamente di recente che ho sviluppato dei forti pensieri al riguardo. E questo anche nei contesti universitari.

Tutta la mia attività di insegnamento online può anche essere interpretata sotto questo punto di vista: sono deluso dal modo in cui gli argomenti sono insegnati, e sfrutto le energie derivanti anche da questa delusione per mostrare e promuovere un modo alternativo, e dal mio punto di vista migliore, per approcciarsi a contesti tecnici quali l'informatica, la programmazione, la sicurezza informatica e via dicendo. Sono, per gran parte, motivato da una profonda rabbia, che però nella sua manifestazione si trasforma in pura energia creativa. Lo considero un piccolo esempio concreto della vasta complessità umana.

#Sul deludere

È facile rimanere delusi. Ok. Cambiando punto di vista, questo fatto implica che sarà altrettanto facile deludere le altre persone.

Anche qui, se sono persone a cui non siamo troppo interessati, deluderle potrebbe avere un impatto limiato su di noi. Se invece sono persone a cui siamo interessati, a cui vogliamo bene e che amiamo, deluderle potrebbe essere qualcosa di difficile da accettare.

Saper deludere è un'altra di quelle abilità fondamentali che dobbiamo imparare il prima possibile, e che non dobbiamo mai dimenticare di allenare. È una abilità decisamente difficile, ma è anche decisamente necessaria, ed è necessaria da allenare proprio in funzione della sua inevitabilità. La difficoltà è tutta nella gestione della delusione, perché sì, deludere è inevitabile, ma ci sono modi e modi di deludere, ed alcuni possono infliggere molto più dolore di altri, sia a noi che alle persone deluse.

L'importante, in questi contesti, è capire. Capire in cosa consiste questa delusione. Capire il perché abbiamo scelto di deludere l'altra persona. Credo fortemente che un ingrediente fondamentale per uscire dalla profonda sofferenza della delusione è la comprensione.

Perché può capitare che le più forti delusioni che causiamo ad altre persone non derivano da una nostra incapacità di amare e rispettare, ma da una violenza da parte dell'altra persona. Può dunque essere pericoloso comportarsi in modo da evitare tutte quante le delusioni, solo per una nostra incapacità di gestire la sensazione di aver deluso. Ci possiamo raccontare quello che ci pare, ma rimaniamo esseri fragili. E meno siamo consapevoli delle nostre fragilità, e più loro avranno il controllo su di noi. Accettare di essere una delusione, e sentirsi una delusione, significa venire a patti con i nostri limiti. Un qualcosa di difficile. Un qualcosa che porta con sé una certa vergogna. Eppure, un qualcosa di necessario.

Non ci sono leggi logiche o leggi umane che determinano se una delusione è giusta o sbagliata. Non possiamo confrontarci con essa da un punto di vista morale. O comunque, possiamo anche farlo, ma non eliminerà la sua esistenza. Siamo (semplicemente) costretti a convivere con la delusione, e con le sue innumerevoli cause, molto spesso invisibili ad un occhio non allenato.

Si inizia a capire la complessità della vita solo quando si comincia a capire quanto facile può essere deludere una persona che amiamo veramente, e quali sono le conseguenze di questo.

L'amore e le buone intenzioni non bastano, e non sono mai bastate.
Certe volte, non possiamo far altro che deludere.

È solo accettando queste realtà, che possiamo iniziare a difendere le persone che amiamo dalle nostre stesse fragilità.

#DONE Una cosa difficile

La vita è una cosa difficile.
Non importa dove e quando nasciamo.
La vita rimane una cosa difficile.

È possibile effettuare dei confronti tra vite diverse, e determinare parametri più o meno oggettivi di comfort e privilegio, e dire che una vita è stata più fortunata di un'altra per tutta una serie di ragioni. Ma in ultima analisi, se la vediamo dal punto di vista soggettivo, dal punto di vista della persona che questa vita la vive, essa non può essere altro che difficile.

La vita è difficile per tante ragioni.
Ragioni diverse.
Ragioni legate alle nostre origini.

Per chi nasce da una famiglia ricca e calorosa, la vita può essere difficile nel momento in cui le incertezze del mondo esterno si fanno sentire, destabilizzando la serenità e la sicurezza a cui si è abituati. Un lusso assai raro, il cui valore, molto spesso, e tragicamente, è apprezzabile solo nel momento in cui lo si perde.

Per chi nasce da una famiglia ricca e fredda, la vita può essere difficile, forse doppiamente difficile, in quanto per un salutare sviluppo abbiamo bisogno sia di comfort fisico che di comfort emotivo. Anzi, non ci può essere il primo senza il secondo. Ed è proprio in questa situazione che nasce la famosa frase "I soldi non fanno la felicità!". Perché in ultima analisi è vero, i soldi non bastano. Il nostro corpo, biologicamente, non è stato fatto per conoscere il concetto dei soldi. Non è stato fatto per capire che avere in banca un conto con tante cifre è meglio rispetto ad averne uno con meno cifre. Il corpo ha bisogno di cibo, di calore e di sentirsi al sicuro, parte di un qualcosa di più grande. Il corpo ha bisogno di mistero, di attrazione, di curiosità.

Per chi nasce da una famiglia povera e calorosa, la vita può essere difficile in quanto è difficile trovare un contesto in cui poter costruire una carriera di successo, per aiutare se stessi e la propria famiglia a gestire meglio tutti quei problemi legati ad una carenza finanziaria. È vero che i soldi non fanno la felicità, ma neanche le malattie fanno la felicità. Malattie che diventano più difficili da gestire in mancanza di soldi. E neanche essere costretti a lavorare dal lunedì al venerdì, dalle nove alle sei, tutte le settimane, di tutti gli anni, per pochi soldi, non essendo apprezzati, sapendo di essere completamente rimpiazzabili, ma senza altra scelta se non quella di lavorare quando possibile, fa la felicità. Insomma, i soldi non fanno la felicità, ma sono sicuramente utili a proteggere la nostra salute ed il nostro tempo, elementi chiave in qualsivoglia definizione di felicità.

Per chi nasce da una famiglia povera e fredda, la vita può essere difficile, forse doppiamente difficile, in quanto alla difficoltà del crearsi una propria indipendenza economica, ci si aggiunge anche la difficoltà della solitudine, della consapevolezza di non poter contare sulla propria famiglia, e della necessità di investire risorse ed energie per guarire dai danni subiti nel periodo più critico del proprio sviluppo.

La vita è difficile. Non esiste una vita facile. Ci sono, sì, vite più difficili di altre. Ci sono vite talmente difficili da far rabbrividere anche il più impavido degli umani. Non c'é un limite alla difficoltà di una vita, perché non c'é un limite alla sofferenza che una vita può provare. E comunque, anche accettando con tutto questo, non è ancora possibile affermare che esistono vite facili.

La vita è una cosa difficile.
Non importa dove e quando nasciamo.
La vita rimane una cosa difficile.
Ci sono vite più difficili di altre.
Ma tutte, a loro modo, sono difficili.

Cosa fare, di fronte a questa inevitabilità?

L'unica cosa che possiamo fare è comprendere la sua natura. Comprendere la natura della vita. O comunque, sforzarci il più possibile. Comprendere, non per controllare, ma per vivere. Perché non abbiamo potere di fronte alla vita. Siamo solo sue piccole manifestazioni. È lei che comanda. È lei ad avere il controllo. Dobbiamo imparare a vivere, altrimenti siamo destinati alla sofferenza.

È lei che comanda.

#DONE Il Dolore più grande

Ultimamente sto vivendo un periodo abbastanza particolare. Pensandoci bene, io, di periodi "non particolari", non penso di averne mai avuti. Diventa dunque difficile stabilire se questo momento sia più particolare di altri che ho vissuto. In ogni caso, conta poco quanto particolare è, ciò che conta è che "particolare" sta per "doloroso" e per me

il dolore più grande, è la mancanza di significato

Durante la nostra crescita veniamo esposti a tante storie diverse. Molte di queste storie sono dense di significati importanti. Significati come l'amore, l'amicizia, la scoperta del proprio posto nel mondo. Poi, si diventa adulti, e si capisce la grande differenza tra il mondo per come viene raccontato, ed il mondo per come viene vissuto. E questa differenza crea una spaccatura interna. Qualcosa si rompe, e noi dobbiamo rimettere assieme i pezzi.

La questione del significato è sempre stata una questione spinosa per me. Nella ricerca del significato, ottengo tutte le energie vitali che utilizzo per fare quello che faccio, qualsiasi cosa sia. E quando non riesco a trovarlo, nella totale mancanza di significato, perdo ogni energia e volontà di andare avanti.

Nel momento in cui scrivo, la mia vita ha tanti significati. Eppure, c'é un'area importante in cui sto iniziando a sentire un vuoto enorme. Una totale mancanza di significato. E sto osservando l'effetto che questa totale mancanza di significato sta avendo sulla mia salute.

Non è la prima volta che mi succede. Sono abituato a questa sensazione, e quindi so anche come gestirla in modo strategico. Eppure, la detesto. Vorrei non sentirla mai più.

come si può gestire la perdita di significato?

Come prima cosa, bisogna isolare la ferita. Bisogna capire da dove viene questa perdita. Dove è localizzato il vuoto? Capirlo non andrà a diminuire il dolore, ma ci permetterà di iniziare a costruire un piano. Una strategia che riduca i danni e che migliori la situazione il prima possibile.

Il secondo step è invece uno step di pianificazione. Ma bisogna stare attenti a non pianificare troppo, che altrimenti si potrebbe finire per ritrovarsi in un mondo perfetto. Un mondo di fantasia, tanto denso di significato quanto lontano dalla realtà. Bisogna invece procedere molto cautamente, tenendo sempre in vista il mondo reale, quello doloroso, quello da cui vorremmo scappare. Stringere i denti, guardare il punto in cui ci troviamo esattamente, e pianificare il prossimo passo.

Ne basta solo uno. Non ne servono mille. Basta farne uno giusto. Quello che ci avvicina al significato. E già qui c'é un'enorme difficoltà da affrontare: la scelta. Quale passo? Potenzialmente ne possiamo fare tanti, ma solo alcuni di questi saranno quelli giusti. E come facciamo a capire questa differenza? Qui l'unica cosa che posso dire è una parola: intuizione. Non dobbiamo fare questa scelta basandoci esclusivamente su ragionamenti logici, né basandoci esclusivamente su ragionamenti emotivi. Anzi, non sta a noi fare questa scelta. Dobbiamo mettere da parte la nostra identità e lasciar spazio al nostro corpo. Lui saprà difenderci, sempre e comunque. Lui, e solo lui, saprà il passo giusto da fare, e noi dobbiamo imparare a fidarci delle sue scelte.

Capito questo passo, dobbiamo ricordarci di effettuarlo. Che il sapere cosa dobbiamo fare importa solo nel momento in cui siamo in grado di fare il necessario. E qui, non serve tanto l'intuizione, ma serve coraggio. Bisogna avere tanto coraggio, bisogna capire l'importanza del proprio significato, e bisogna lottare per ottenerlo, a prescindere da tutto il resto.

Ma cosa si potrà ottenere mai, con un solo passo?

Nulla.

con un solo passo non si ottiene nulla.

Bisogna quindi avere quel briciolo di saggezza in grado di spingerci verso la costanza, in grado di farci capire che le cose che meritano di essere ottenute sono quelle che non si ottengono in un passo, ma che si ottengono in talmente tanti passi che non ha neanche senso mettersi lì a contarli tutti. Bisogna camminare e camminare e camminare prima di vedere anche solo il più piccolo e leggero significato. E poi continuare a camminare e camminare, non a vuoto, non in balia di speranze insensate, ma seguendo sempre l'intuizione del corpo.

Abbiamo un tremendo bisogno di significato. O almeno, io ho un tremendo bisogno di significato. Capisco, in questa ottica, la ritualità che ha sempre caratterizzato l'umanità. La sensazione di far parte di qualcosa di più grande è tremendamente bella. Eppure, il mio corpo, per come è fatto, fa fatica a fidarsi di quel tipo di rituali, impedendomi di utilizzarli per soddisfare questo bisogno di significato, tanto inevitabile quanto terribile.

Vorrei un mondo diverso. Un mondo pieno di persone consapevoli di ciò che stanno costruendo. Un mondo pieno di significato.

Ma questo è un mondo infame. Un modo in cui quel poco significato che c'é va difeso. Va difeso con la propria vita. Perché non c'é vita senza significato. E quindi, so perfettamente cosa devo fare. Devo solo fare un altro passo avanti. E poi un altro ancora. E poi un altro. Un altro. Ed un altro. Riposarmi ogni tanto, e continuare. Continuare. Allontanarmi dal vuoto, il mio grande compagno di vita, per trovare qualcosa di altro. Quello che ho sempre fatto. Quello che continuerò sempre a fare, fino al mio ultimo giorno in questa vita.

Stringere i denti, e fare un altro passo.

#TODO Sulla Forza di Volontà

Hello.