../ La Tragedia della Ragione

In questi ultimi anni mi sto accorgendo di tante piccole cose legate al modo in cui ho sempre vissuto e pensato alle varie situazioni della vita e al mio ruolo in esse.

Più gli anni passano, e più mi sorprendo delle potenzialità della mente umana di riuscire a penetrare la complessità della propria esistenza. Il nostro corpo ci mette a disposizione degli strumenti estremamente potenti. Dovremmo spendere più tempo per conoscerli meglio.

Ricordando ancora bene il modo in cui pensavo alla vita da ragazzo, mi posso permettere di effettuare qualche confronto tra il me di un tempo e il me di adesso, per capire cosa sta cambiando nel frattempo, e cosa, in parte, mi sta aiutando ad incrementare il benessere generale della mia esistenza.

Consideriamo dunque la seguente domanda:

Dove sta la colpa in una tragedia?

Ecco, io penso che in questa domanda ci sia tutto. Iniziamo però da un'altra domanda, che inizialmente potrebbe sembrare poco inerente alla questione.

Perché abbiamo un cervello?

Facendo un'analogia con l'informatica, possiamo pensare al cervello come al nostro hardware, mentre la mente è il software che viene eseguito dal cervello. Tramite la mente siamo in grado di creare delle rappresentazioni astratte della realtà che ci circonda. In altre parole, modelliamo gli oggetti del mondo all'interno della mente. Utilizzando queste rappresentazioni astratte, questi modelli, possiamo poi effettuare delle analisi al fine di prendere delle decisioni nel mondo e muovere il nostro corpo in accordo a tali decisioni. Quasi tutte le decisioni che prendiamo finiscono per modificare il mondo che ci circonda, il che provoca dei cambiamenti nelle rappresentazioni astratte che utilizziamo per rappresentarlo. Si evince fin da subito dunque un eterno ciclo di feedback tra rappresentazioni interne e mondo esterno.

Si potrebbe quindi argomentare, in modo assai approssimativo e superficiale, che il cervello è uno strumento di modellazione del mondo sviluppato dalla Natura per fini di sopravvivenza. Il cervello è l'hardware base su cui gira la mente, il software di noi esseri umani, e la mente è estremamente potente, in quanto introduce la possibilità di simulare le conseguenze di una qualsiasi nostra azione in un determinato scenario.

Immaginiamo una situazione spiacevole, come potrebbe essere l'incontro con un animale apparentemente pericoloso, tipo un serpente. Le sensazioni che sentiamo nel momento in cui immaginiamo lo scenario appena descritto sono dirette prove del potere di simulazione della mente. Se invece immaginiamo una situazione più piacevole, come ad esempio potrebbe essere l'abbracciare una persona a cui vogliamo bene e che non vediamo da tempo, le sensazioni che sentiamo sono assai diverse. Certo, queste sono solo sensazioni immaginate, ottenute tramite una simulazione, e sono sicuramente assai diverse da quelle che sentiremmo se dovessimo finire in queste situazioni. Detto questo, ciò che conta è che siamo comunque in grado di immaginarle, e che queste immagini hanno un diretto effetto sul nostro stato mentale e sul nostro corpo.

La nostra specie, Homo Sapiens Sapiens, si è affidata al potere offerto dalla simulazione della mente per la creazione di cose come la scrittura, il denaro, la filosofia, la religione, la matematica, l'amore, la scienza e poi, anni dopo, anche l'informatica, i computer digitali, le reti, i protocolli di rete, e via dicendo, che oggi permettono a me di scrivere queste parole e a voi di leggerle e, si spera, anche di capirle.

Per quanto tutto ciò è sicuramente un qualcosa da apprezzare profondamente, dobbiamo essere cauti nel trattare il potere della mente, in quanto, almeno secondo me, la mente umana è uno strumento talmente potente che molto spesso non siamo in grado di gestire tutta la sua potenza e finiamo per subirne delle conseguenze non proprio desiderabili.

Il fatto è che il pregio principale della mente è anche il suo difetto più grande. D'altronde bisogna considerare che

L'obiettivo principale della mente è dar senso ad un mondo intrinsecamente privo di senso

Qualcuno potrebbe argomentare che in realtà esiste uno specifico significato per ogni cosa, un significato che solo poche persone, magari persone di fede, possibili santi di vecchie o nuove religioni, esoteriche e non, sono in grado di capire. Dal mio punto di vista, questo è proprio uno dei principali contesti in cui il potere di simulazione della mente prende il sopravvento.

Ciò che penso è che noi esseri umani finiamo fin troppe volte per essere intrappolati dal bisogno di dare un senso al mondo che ci circonda. Il perché di tutto ciò è già stato menzionato: per costruzione, il funzionamento della mente impone di dover dare un senso al mondo. Ed è per questo che la sensazione di significato, ovvero sentire che la propria vita sta servendo a qualcosa, è una sensazione fondamentale e imprescindibile per il benessere di noi esseri umani.

La situazione più distruttiva per la salute mentale di un essere umano è proprio trovarsi in una situazione che, per quanto ci si sforza, non si riesce minimamente a comprendere. Più è grande e profonda questa incomprensione, più grandi e profondi saranno i danni subiti. Molto spesso, pur di non incorrere in questa terribile sofferenza, è preferibile crearsi una propria storia, una narrativa interna coerente che ci difende dall'impossibilità di trovarne una esterna altrettanto coerente.

Anche Primo Levi ne "I Salvati e I Sommersi", riflettendo sulla sua esperienza nei campi di lavoro tedeschi parla della maggior resistenza alla sofferenza mostrata dai credenti, che potevano vantare di un armamentario di strumenti bizzaro ma tremendamente efficace per dar senso a quella incommensurabile sofferenza

Améry osserva quanto tutti noi ex prigionieri abbiamo osservato: i non agnostici, i credenti in qualsiasi credo, hanno retto meglio alla seduzione del Potere [...] Il loro universo era più vasto del nostro, più esteso nello spazio e nel tempo, soprattutto più comprensibile: avevano una chiave ed un punto d'appoggio, un domani millenario [...] La loro fame era diversa dalla nostra; era una punizione divina, o una espiazione, o un'offerta vortiva [...]

Primo Levi, I Salvati e I Sommersi

Ed è per questo che il potere delle storie umane esula dalla loro verità più letterale, ovvero se sono effettivamente accadute nel modo narrato oppure in modo leggermente diverso, oppure in modo completamente diverso, oppure se non sono minimamente accadute. Una storia, per impattare la nostra mente, non deve essere realistica, ma solo internamente coerente rispetto al modo in cui è processata dalla mente, dove qui, quando utilizzo la parola "coerente", non mi sto solamente riferendo al concetto di "coerenza logica", in quanto la mente è un software complesso, formato da più strati diversi che lavorano assieme, e la logica è solamente uno di questi strati.

Arriviamo dunque ad un punto fondamentale di tutto questo discorso: l'abilità della mente di dare un senso al mondo comincia a creare problemi piuttosto gravi quando siamo sottoposti a situazioni di estrema sofferenza. Dopo un primo veloce periodo di adattamento, diventa molto difficile ritornare a come si era prima, anche se riusciamo a sopravvivere quel momento. Questa difficoltà è legata al fatto che oramai la nostra narrativa interna è stata profondamente deviata dal dover dare senso ad un terribile evento.

E, come il paragrafo di Primo Levi ci ricorda, cosa facciamo, noi esseri umani, quando dobbiamo dar senso ad una profonda sofferenza?

Incolpiamo, qualcuno o qualcosa.

È una reazione intuitiva di causa ed effetto: se io sto male, è perché qualcuno o qualcosa ha agito in modo tale da farmi stare male, e dunque è lì, in quella direzione, che deve essere attribuita la responsabilità, e dunque la colpa. È fondamentale pensarla in questo modo, in quanto così facendo abbiamo almeno una possibilità di redenzione: possiamo attaccare chi o cosa ci ha attaccato per riprenderci ciò che è nostro, oppure per vendicarci del danno subito, oppure possiamo chiedere riscatto in altri modi. In altre parole, pensarla in questo modo ci dà le energie per agire.

Mentre alcune volte scegliamo di incolpare il mondo esterno, magari rappresentandolo metaforicamente tramite una figura specifica del nostro immaginario, altre volte succede qualcosa di ancora più sorprendente: tra tutti i potenziali colpevoli, scegliamo noi stessi come i veri responsabili della nostra sofferenza. Ritenendoci responsabili della nostra propria sofferenza, cominciamo a dubitare di noi stessi, a farci del male e ad autosabotarci in mille modi, diversi e sottili, difficili da capire. Alla fine possiamo pure arrivare al punto di dubitare se meritiamo di vivere o morire, esattamente come è accaduto ai superstiti dei campi di concentramento.

Hai vergogna perché sei vivo al posto di un altro? Ed in specie, di un uomo più generoso, più sensibile, più savio, più utile, più degno di vivere di te?

Non lo puoi escludere: ti esamini, passi in rassegna i tuoi ricordi, sperando di ritrovarli tutti, e che nessuno di loro si sia mascherato o travestito; no, non trovi trasgressioni palesi, non hai soppiantato nessuno, non hai mai picchiato, non hai accettato cariche, non hai rubato il pane di nessuno; tuttavia non lo puoi escludere.

È solo una supposizione, anzi, l'ombra di un sospetto: che ognuno sia il Caino di suo fratello, che ognuno di noi abbia soppiantato il suo prossimo, e viva in vece sua.

È una supposizione, ma rode; si è annidata profonda, come un tarlo; non si vede dal di fuori, ma rode e stride.

Primo Levi, I Salvati e I Sommersi

Ecco, dunque, la vera tragedia di noi esseri umani. Quella che io chiamo la Tragedia della Ragione:

L'impossibilità di capire che il meccanismo del mondo è basato sulla tragedia, e che molto spesso, anche se facciamo tutto quello che possiamo, non siamo in grado di cambiare determinate cose, e non abbiamo nessuna colpa in merito a tutto ciò

L'unico strumento che abbiamo, di fronte a questo tipo di tragedia, è l'ironia. Noi esseri umani infatti siamo fin troppo bravi a pensare al senso delle cose. Siamo talmente bravi a ragionare che finiamo per intuire l'assenza stessa della ragione come proprietà intrinseca del mondo, come pilastro indistruttibile su cui si poggia la realtà con cui interagiamo.

Cosa fare, quindi, con un software talmente potente in grado anche di analizzare i propri limiti?

Chi lo sa.

L'unica cosa che riesco ad intuire è che imparare ad analizzare i propri limiti è forse l'attività più importante per la propria crescita. Diventare sempre più consapevole di questa realtà mi sta aiutando tanto, per quanto ciò non toglie, e non potrà mai farlo, l'esistenza dei miei limiti, e dunque la presenza della mia sofferenza. In altre parole, sto capendo che

possono diventare grandi solo coloro che sanno di essere piccoli

Non è forse questa una delle più importanti ironie della vita?