Qualche settimana fa sono stato in Francia, a Parigi. Assieme a dei miei colleghi avevamo mesi addietro inviato degli articoli scientifici che erano stati accettati da una conferenza che tratta tematiche di telecomunicazioni e networking (ICIN 2023). Gli articoli erano due, ed erano entrambi delle demo tecniche da portare nella sezione workshop della conferenza.
Ci sarebbe tanto da dire riguardo a questa esperienza. È stato il mio primo viaggio di lavoro. È stata la prima volta in cui ho lavorato ad un articolo che è stato poi sottomesso ad una conferenza. È stata la prima volta che camminavo con trasnquillità per le strade di Parigi. È stata la prima volta che mi hanno cancellato il volo di ritorno. Potrei continuare così, esplorando i ricordi, analizzandoli, cercando di estrarre ogni piccolo dettaglio, anche la più leggera delle sensazioni che ho provato in quei giorni, a tratti faticosi, a tratti sereni, a tratti tristi, ma sempre e comunque significativi.
Noi, esseri umani, possessori di memoria, scrittori di simboli, abbiamo due doveri da rispettare: dimenticare le cose che vanno dimenticate, e ricordare le cose che vanno ricordate. La memoria è imprescindibile per la vita. È quel ponte che permette alla vita di manifestarsi. Senza memoria non ci può essere vita. Eppure, la vita viene a mancare anche nel senso opposto, anche quando c'è troppa memoria, quando la memoria diventa troppo pesante, troppo precisa, e non permette nessun movimento, nessuna alterazione rispetto a ciò che è stato. Piuttosto che descrivere ogni sensazione, descriverò solo quella che merita di essere descritta. Quella che merita di sopravvivere, per chissà quanto tempo e per chissà quali spazi.
La sensazione che voglio descrivere è quella che ho provato dinanzi al Pendolo di foucault, esposto al Panthéon de Paris.
Quando mi sono trovato di fronte al pendolo, mi sono sentito come il contenitore di tante cose, ciascuna a modo suo preziosa.
Come prima cosa, mi sono sentito ignorante, in quanto non sapevo esattamente nulla della storia del pendolo, di come è stato realizzato, del perché è stato realizzato, e in generale del suo passato. L'unica cosa famigliare associata al pendolo che ho trovato dentro di me era il fatto che "Il pendolo di Foucault" era anche il nome di un romanzo famoso scritto da Umberto Eco. Romanzo che comunque non ho mai letto (e forse è anche per questo che mi sono sentito doppiamente ignorante).
Eppure, per quanto ignorante potevo essere, ho subito capito che mi trovato di fronte a qualcosa di profondo, potente, e significativo. Come se quell'oggetto non fosse più soltanto un oggetto. Inserito in quel particolare posto, è come se si fosse trasformato in qualcosa di altro, qualcosa di più grande, meno definito dai propri contorni fisici, meno definito dalle stesse leggi della natura che intende rappresentare. Non sono un fisico, e in questo momento non ricordo bene le leggi matematiche che descrivono il moto di un pendolo. L'unica cosa che voglio raccontare è stata l'impressione, emotiva ed intuitiva, che mi ha lasciato vedere quei movimenti.
I lenti movimenti del pendolo mi hanno fatto immediatamente pensare ai lenti movimenti della vita stessa. Sono rimasto qualche minuto a guardare il pendolo. In ogni istante, sembrava quasi che non si muovesse. Eppure, più scorrevvano gli istanti, e più il suo moto diventava sempre più chiaro e definito. Per capire questi spostamenti però non ci si doveva concentrare solo sul pendolo. Se si guardava solo il pendolo era veramente difficile accorgersi del fatto che si stava muovendo. Se invece si guardava sia il pendolo che un altro punto nella traiettoria del suo moto, ecco che il suo movimento appariva più chiaro.
Più cresco, e più mi accorgo del fatto che il cambiamento è una forza profonda, che agisce ogni giorno, in ogni istante. La vita è cambiamento. Eppure, la vita è anche memoria del passato. Per quanto il cambiamento sia parte integrante del tessuto dell'esistenza, l'esperienza comune rende difficile considerare quanto ciascuno di noi cambia. Io stesso fatico a considerare semplicemente quanto cambio, quanto ogni giorno mi sveglio leggermente diverso da come sono andato a dormire il giorno prima. È solo quando confronto il me di adesso con il me di qualche anno fa che riesco a vedere il cambiamento. E quando lo capisco, inevitabilmente rimango sorpreso, perché è così profondo e vasto.
Se dovessi incontrarmi con qualsiasi versione del mio passato, non saprei bene come reagire. Ricordo ancora relativamente bene la mia esperienza alle superiori. Tornando indietro, già rispetto alle medie non ho molti ricordi. Ricordo frammenti. Momenti felici e momenti tristi. In generale però non c'è molto. Per non parlare delle elementari, o dell'asilo, o prima dell'asilo. Ecco, in parte vorrei tornare indietro, non per interagire con il me stesso di un tempo, ma semplicemente per osservarlo. Osservarlo essere. Osservarlo esistere. Prendere nota, non tanto di chi ero un tempo, ma dei cambiamenti che sono avvenuti da allora ad oggi. Prendere nota del fatto che in qualche modo ciò che ero un tempo, qualsiasi cosa era, conteneva parti di ciò che sono adesso, e che se adesso sono ciò che sono, è anche in parte perché un tempo ero ciò che ero. Che poi, è veramente necessario viaggiare nel tempo per ricordarmi ciò che un tempo ero?
Un'altra caratteristica del moto del pendolo che mi ha colpito era la sua irregolarità. Anche qui, questa caratteristica era molto sottile, perché a prima vista sembrava che ogni volta il pendolo tornava esattamente nel punto da cui era partito. Eppure, fermandomi un attimo, ho avuto questa sensazione di caos e totalità. Che aspettando abbastanza tempo, il pendolo avrebbe tracciato ogni possibile moto a sua disposizione, e poi avrebbe continuato di nuovo, da zero, ma in un ordine diverso da quello di prima.
Anche in questo contesto, l'irregolarità del pendolo mi ha fatto pensare all'irregolarità della vita. Come ho già scritto, la vita è basata anche sulla memoria, sull'abilità di ricordare. E la memoria, nella sua essenza, è uno strumento di conservazione che porta nel futuro ciò che è stato nel passato. È proprio tramite la memoria che possiamo avere delle regolarità. In matematica le regolarità sono chiamate anche patterns. Senza regolarità, senza patterns, non ci sarebbe la matematica, né tantomeno il linguaggio, sia scritto che orale. Senza regolarità non ci sarebbe la vita. Eppure, anche qui, l'eccessiva regolarità, l'eccessiva quantita di regole, distrugge la vita.
E cosa possiamo dire della regolarità di una vita umana? La vita umana è il prodotto della vita nella sua totalità, ed è proprio per questo che, almeno a mio avviso, per prosperare necessita sia di tanto caos (irregolarità) che di tanto ordine (regolarità). Riflettendo sulla mia esperienza, adesso capisco che molta della sofferenza che ho provato derivava dal fatto che non riuscivo a riconoscere le cose per ciò che erano. Ciò che ritenevo ordinato e regolare nascondeva invece una più autentica natura caotica ed irregolare, e ogni volta che mi approcciavo a qualcosa di caotico ed irregolare, lo facevo sempre in modo ordinato, fin troppo regolare.
Quando mi metto a pensare alla vita nella sua totalità, il mio cervello, per quanto affascinato da tale argomento, fatica a formare discorsi sensati, ragionamenti che continuano ad avere senso anche dopo essere stati scritti. Ma quando i miei occhi si sono posati sul pendolo, è come se avessi visto la vita da un'altra prospettiva. Come se in quell'istante la vita fosse un pendolo. Come se la mia vita fosse un pendolo. Una semplificazione esagerata, forse, ma a suo modo significativa, almeno per me.
Io, continuo. Prima ad andare avanti, e poi a tornare indietro. Movimenti lenti, quasi impercettibili, che necessitano di tempo per essere compiuti e compresi, ma che non si fermano mai. E ogni volta, per quanto mi sembra di essere tornato al punto di partenza, per quanto mi sembra di essere destinato a rivivere le stesse situazioni e sensazioni, le cose, nel frattempo, continuano a cambiare, attorno a me, e dentro di me. E più cresco, più percepisco come l'ambiente intorno a me definisce i miei limiti, e come i miei limiti definiscono l'ambiente intorno a me.
Dove si ferma il pendolo?
Dove inizio io?