Se rifletto su quella che è stata la mia esperienza di vita, mi accorgo che fin da piccolo sono sempre stato ossessionato da una domanda:
Non so bene da dove deriva questa mia curiosità. Ricordo che da piccolo mi capitava molto spesso di sentirmi incapace ed ignorante, ovvero rimosso da quella cosa che considervano "la conoscenza". Sensazioni negative permeavano la mia vita, sia negli aspetti pratici, che in quelli teorici, sia in quelli sociali, che in quelli tecnici. Era tutto molto emotivo, troppo emotivo per capirci qualcosa. L'unica cosa che sentivo è che per qualche ragione, qualsiasi cosa fosse la conoscenza, non la sentivo mia.
Ora, da adulto, non sento più queste sensazioni, non con quella forza in ogni caso. Adesso sono molto più gestibili, assai meno emotive, e dunque più osservabili. Questo ha permesso allo svilupparsi di una nuova sensazione: la sensazione di conoscere. Di avere, finalmente, un po' di conoscenza. Non so bene come è avvenuto questo cambiamento. Avrà contribuito sicuramente il percorso di terapia, anche se è difficile stabilire come e quanto. In generale, hanno contributo la successione di esperienze che ho potuto provare. Che il mio corpo ha avuto l'occasione di provare, e da cui è cambiato. Forse perché era semplicemente destinato, da leggi fisiche ignote, a cambiare esattamente in questo modo.
Per quanto queste sensazioni negative associate all'incapacità e all'ignoranza sono diventate assai più gestibili, averle provate con quell'intesità fin da piccolo mi ha permesso di catturare una realtà che, da quello che vedo attorno a me, anche oggi, molte persone fanno moltissima fatica a catturare: la profondità della propria ignoranza.
Prima di frequentare l'università la mia mente era confusa. La confusione mi impediva di ragionare. Ero in un sonno eterno. Vivo e pensante sì, ma pieno di pensieri che non andavano da nessuna parte e che non portavano a nessuna conclusione. Erano lì, a girare su se stessi, senza muoversi di un passo, ma con una forza emotiva devastante. Ok forse non è vero che era tutto fermo. Le cose nel frattempo si muovevano. Si sono sempre mosse in realtà. È solo che lo facevano talmente tanto lentamente che, da ciò che potevo sentire dall'interno della mia consapevolezza, faticavo a sentire cambiamenti.
Poi, lentamente, con tanto sforzo, ho rimesso in moto quei meccanismi oramai vecchi, lenti e rovinati dal tempo e dalla mancanza di cura. Per fortuna la biologia è un qualcosa di molto potente, perché dopo un po' di anni tutto ha ri-cominciato a funzionare esattamente come avrebbe dovuto funzionare dal primo giorno della mia vita. La resilienza della vita alle intemperie merita molto rispetto.
Mi sono scritto all'università del \(2015\), adesso è il \(2024\). Quindi sono nove anni e qualcosa. Possiamo cambiare tanto, in nove anni. Questa è stata la mia esperienza. In questi nove anni a motivarmi sono stati principalmente due obiettivi:
- Capire l'informatica in profondità.
- Capire le mie emozioni in profondità.
È assai utile concentrarsi su pochi e ragionevoli obiettivi, in quanto libera la mente da tante altre distrazioni. L'importante è assicurarsi che gli obiettivi scelti siano potenzialmente raggiungibili senza lanciare troppi dadi (statisticamente si intende). Detto questo, l'atto di formalizzazione è difficile da fare a priori. Io ad esempio ho capito quali erano i miei obiettivi solo un po' di anni fa, dopo già anni ed anni a cui lavoraro inconsapevolmente ad essi, che il percorso ovviamente non è stato lineare.
È inoltre importante osservare come questi obiettivi hanno il vantaggio di sviluppare diverse aree della vita. Credo infatti sia importante sviluppare sia le proprie competenze nel ragionamento logico tipico di materie quali la matematica e l'informatica, e sia in tutti quelli aspetti della vita che hanno a che fare con le nostre sensazioni ed emozioni, come ad esempio le proprie competenze relazionali, il rapporto con le proprie emozioni, il modo in cui si pensa alla vita e allo stato di diritto, e via dicendo.
Inizialmente mi sono concentrato solo sulla parte logica e matematica. L'informatica teorica è ciò che mi aveva svegliato da quel lungo sonno. Leggere le osservazioni sulla Macchina di Turing, la costruzione dei teoremi di incompletezza di Gödel, la filosofia di Hilbert ed osservare che una materia come la matematica era piena di umanità è stato l'evento inaspettato in grado di riempirmi di tutta quella vita di cui ero stato privato. In un certo senso, ero lì, in attesa di quell'evento. Di conseguenza, le mie emozioni erano tutte lì, nei tecnicismi della conoscenza informatica. Pensavo che misurando il mondo lo avrei capito e mi sarei sentito meglio. Che la comprensione fosse solo la descrizione di un fenomeno in un linguaggio formale. Ed in parte questo è assolutamente vero. Alcune conoscenze si esprimono tramite dei linguaggi formali. Non tutte però. Ci sono alcune conoscenze che non sono ancora state catturate dalla formalizzazione.
Nel corso dei primi anni di università ho potuto provare le conseguenze di un pensiero del genere. Studiavo per interesse sì, ma anche per non sentirmi incapace. Per imparare il più possibile. Non motivato da un obiettivo o una direzione. Studiavo per prendere voti alti. Studiavo per non deludere le persone attorno a me. In modo logico, avevo deciso che: "più imparo, meglio é; più alti sono i voti, meglio è". Queste, ed altre, sono le conseguenze di approcciarsi ad una materia tecnica senza il giusto sviluppo emotivo. Vagare, senza obiettivi. Perché non sono mai i tecnicismi che ci permettono di scegliere obiettivi sensati. Sono le emozioni i decisori finali di ciò che è importante e di ciò che si vuole costruire in questa vita.
Dopo svariati breakdown, burnout e momenti di difficoltà, verso la fine del terzo anno di triennale ho deciso che avrei investito tempo ed energie anche per tutto il resto. Per la parte emotiva possiamo dire. Questo mi ha portato a fare delle scelte che prima non avrei mai fatto e che mi hanno fatto imparare molto in altre area della vita, quelle che non avevo mai sviluppato.
Inizialmente appocciavo il mondo emotivo in modo molto logico. Mi ci sono avvicinato, e questo era un bene, ma utilizzavo degli strumenti che in quei contesti non erano gli strumenti migliori. Ero in una continua ricerca di una spiegazione causale, anche per le emozioni, ed ero cieco al fatto che gli assiomi di base da cui partivano i miei ragionamenti erano, appunto, le mie emozioni. Anche le conseguenze di questo si sono mostrate. Mi sono ritrovato in relazioni costruite su fondamenta mancate e su presupposti sbagliati, portate avanti non per avere più cose belle, ma per evitare le cose brutte. In modo sbagliato insomma. Qui dico "sbagliato", ma è "sbagliato" solo considerando ciò che sono io ora, e non ciò che ero io un tempo. Per me di un tempo quelle erano le cose giuste da fare, e questo è un fatto da rispettare. Ad un certo punto ho capito, proprio grazie a quelle esperienze "sbagliate", che stavo sbagliando. Ecco la grande bellezza degli errori: ti guidano verso cose meno sbagliate!
Durante la pandemia ho vissuto un lento ma importante periodo di sintesi. Avendo abbastanza esperienze, sia dal punto di vista logico e tecnico, e sia dal punto di vista emotivo e relazionale, tutte le cose che avevo imparato hanno lentamente preso la loro giusta posizione, senza ingombrare spazi non propri. L'unica cosa che ho dovuto fare è stata aver pazienza ed aspettare l'avvenire della vita. Sembra facile, ma non lo è. Non lo è mai stato.
Adesso vedo il mondo in modo diverso da dieci anni fa.
In questi quasi dieci anni, la cosa più importante che sento di aver capito è che la comprensione è una idea pericolosa, sia nei contesti tecnici che in quelli umani. Pensare di sapere come funziona qualcosa o pensare di conoscere qualcuno è, nel migliore dei casi, una semplice illusione, e nei peggiori si può trasformare in un pericolo reale. Più questo sapere è alimentato dal voler scappare a sensazioni negative del nostro corpo, e più pericolosa diventa l'illusione.
Quello che ho capito è che la conoscenza in sé non è una illusione. La conoscenza è viva e può essere sentita ogni giorno con il nostro corpo. Si potrebbe argomentare, dal punto di vista filosofico, che anche le sensazioni del nostro corpo sono delle illusioni. Nel mio pensiero però c'è una fortissima differenza tra le idee e le sensazioni. Ed io ritengo che le idee siano astrazioni delle sensazioni, ovvero sono costruite dal corpo andando ad interpretare in modi estremamente complessi le sensazioni che sente di momento in momento. Non mi interessa di cosa siano fatte le sensazioni, nel momento in cui il mio corpo non è stato sviluppato per capire il proprio funzionamento interno. Mi fermo a questo livello, e non scendo oltre.
Questo pensiero non è solo un'idea per me quindi. Perché se fosse solo un'idea, non rappresenterebbe una vera conoscenza. È un atto che manifesto ogni giorno. Nello specifico, si implementa smettendo di pensare di conoscere, senza però smettere di continuare a conoscere cose nuove ed imparare. È un qualcosa di fisico che cambia il modo stesso in cui la mente ragiona su se stessa. La mente non è più chiusa un sé stessa, ma è proiettata verso il mondo in cui è contenuta.
Non tutte le conoscenze sono uguali, ma tutte quelle che sopravvivono al contatto con la realtà sono potenzialmente utili, a seconda del nostro contesto. Ci sono conoscenze che si manifestano tramite dei linguaggi formali, come quelle della matematica ed informatica, e ce ne sono delle altre che si manifestano tramite sensazioni del nostro corpo, che solo noi, che viviamo la nostra consapevolezza in modo diretto, possiamo conoscere.
Arrivati a questo punto risulta utile osservare come il linguaggio è uno strumento da utilizzare con molta attenzione. Il linguaggio ci può spingere verso il mondo, verso il concreto, e dunque verso la vera conoscenza, oppure può essere utilizzato per rinchiuderci nel non-mondo delle idee, un modo che esiste solo in modo astratto nella nostra mente. Un mondo che, dato che non ha nessun contatto con la realtà esterna, è per costruzione denso di sofferenza.
Se prima utilizzavo il linguaggio per tutto, dai problemi logici a quelli emotivi, adesso il mio corpo è assai più bilanciato. Prima, prova a capire intuitivamente se ha senso formalizzare un pensiero tramite dei simboli discreti, e poi investe delle energie nel farlo solo se ha senso farlo (può anche commettere degli errori, ovviamente). Se non ha senso farlo, utilizza altri linguaggi. Il movimento ad esempio è un linguaggio importante. Il corpo contiene al suo interno tanti linguaggi, e bisogna esplorarli per bene, perché sono stati sviluppati proprio per aiutarci in questa vita.
Quante persone vedo, attorno a me, incapaci di comunicare il loro mondo interiore. Piene di illusioni. Di gesti appresi, mai discussi, e ripetuti in modo vacuo, privo di ogni significato. Di volontà mai volute. Intrappolate prima dalle loro emozioni, e poi dai loro linguaggi. Esseri umani fermi. Fermi in un sonno eterno. Che comunicano una e una cosa sola: "aiutami, sto soffrendo". Da qui deriva la più grande sofferenza della vita:
La conoscenza è uno strumento. Lo strumento più importante che abbiamo per migliorare la qualità della nostra vita. Quando conosciamo qualcosa, la incontriamo, e diventa parte di noi. E questo incontro cambia tutto. Perché la conoscenza è il modo più astratto che abbiamo scoperto per comunicare con altri esseri umani nello spazio e nel tempo. Non siamo più soli in un universo freddo e senza senso. Siamo tanti, e diversi, in un universo freddo sì, e forse ancora senza senso, ma con tanti enigmi, con tante sfide da risolvere, con tante cose da conoscere, e tante esperienze da condividere.
Se dovessi rispondere ai dubbi che avevo da piccolo, risponderei in questo mondo:
È una risposta che un tempo non avrei capito. Pensavo la conoscenza poteva essere formalizzata. Eppure, si riduce a sensazioni e volontà di agire sul mondo. Tutte cose molto intime e personali.
A me piace l'informatica. Per questo la studio. Perché conoscerla meglio mi fa dal bene. Per questo la insegno. Perché magari può fare del bene anche ad altre persone. Chissà.